Il mondo dell’arte piange la scomparsa di Frank Uwe Laysipien, uno dei più importanti esponenti della performance art. Più semplicemente conosciuto come Ulay – pseudonimo utilizzato per tutta la sua carriera artistica ma adottato subito dopo aver lasciato volontariamente la Germania e aver deciso di vivere in Olanda da apolide, rinnegando il suo vero nome – è venuto a mancare nella sua residenza di Lubiana (Slovenia) il 2 marzo 2020, a seguito di una lunga malattia diagnosticata nel 2009.
L’artista, nato nel 1943 a Solingen, si dedica fin dal principio alla fotografia e sperimenta nuove visioni passando attraverso il suo corpo. Questo è, per Ulay, il medium per eccellenza, territorio fertile per indagare l’identità, l’estetica esteriore e l’Io interiore. Nella sua pratica artistica il corpo è considerato «Medium per eccellenza, quello che ci permette di vivere e creare. L’unico oggetto d’arte che parla, respira, sente e pensa. A Joseph Beuys che affermava “ogni uomo è un artista” io rispondo “sono artista anche quando dormo”».
Tra il 1968 e il 1976 l’artista intraprende una ricerca sul sé, giocando con il suo doppio femminile e innescando riflessioni sul genere: iconici gli scatti che lo ritraggono con il viso truccato a metà, giochi di parole fissati in immagine, focus sulla forma che il corpo possiede e può divenire, fino a trasformarsi in azione performativa.
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Il continuo giocare con l’obiettivo e con il trasformismo porta Ulay a diventare un importante esponente della performance art, momento consolidato dall’incontro con Marina Abramović, con la quale si instaura un sodalizio privato e artistico dal 1976 al 1988. Insieme realizzarono la serie di azioni denominata Relation Works, performance incentrate sul corpo come mezzo espressivo e opera d’arte. Alcune di queste opere sono diventate iconiche, pietre miliari della performance internazionale.
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Dopo l’intenso periodo vissuto insieme alla Abramović, Ulay si dedica soprattutto alla fotografia, ma non si allontana mai del tutto dalla performance, continuando a coinvolgere il pubblico in spettacoli, seminari e conferenze. La malattia che gli viene diagnosticata nel 2009 diventa punto di partenza per il suo ultimo lavoro, intitolato Project Cancer: un docufilm in cui Ulay ripercorre i momenti salienti della sua vita e della sua carriera, attraverso interviste, fotografie e video d’archivio. Per un anno intero, dalla fine del 2011, Ulay viene seguito dalle telecamere durante tutti i suoi spostamenti; l’artista intraprende numerosi viaggi per andare a trovare amici lontani e in quel frangente si interroga sulle meraviglie e sulla natura della vita. Il documentario, diretto da Damjan Kozole, esce per la prima volta nelle sale cinematografiche nel 2013.
L’artista tedesco è morto nella sua residenza di Lubiana, all’età di 76 anni. La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore, rimbalzando da una testata giornalistica all’altra. Ulay è stato un artista radicale, difficilmente classificabile, sempre fedele ai suoi concetti e alle sue convinzioni. La sua produzione artistica è segnata dalle contaminazioni tra fotografia e performance perché la vera opera d’arte, come lui stesso affermava, è sempre stata il suo corpo.
I giornali hanno dato notizia della sua scomparsa utilizzando titoli che lo identificano come lo “storico compagno o ex compagno” di Marina Abramović, focalizzando l’attenzione su un periodo della sua vita e della sua produzione artistica che in verità durò solo 12 anni. Inutile dire che Ulay è stato molto di più, sia a livello artistico che umano, ma quelli furono anni di intensa intesa, di azioni estenuanti, di giochi capaci di mettere alla prova i limiti psichici e corporei, sempre in coppia. Amore, rabbia, dolcezza, odio sono solo alcuni tra tutti i sentimenti condensati all’interno delle loro azioni: per ripercorrere il sodalizio tra i due artisti ecco alcune delle performance realizzate tra il 1976 e il 1988, tra le quali spiccano quelle portate per la prima volta in scena proprio a Bologna, fino ad arrivare al momento della loro ufficiale separazione e al loro emozionante incontro al MOMA, durante The artist is present.
Imponderabilia, 1977, Galleria Comunale d’Arte Moderna – Bologna
Nella settimana dall’1 al 6 giugno 1977 Renato Barilli, insieme a Roberto Daolio e Francesca Alinovi, curò la Settimana Internazionale della performance, evento collaterale all’edizione 1977 di Arte Fiera. In occasione della manifestazione gli artisti si avvicendarono negli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna adiacenti al quartiere fieristico: tra i presenti spiccano i nomi di Marina Abramović e Ulay, che per Imponderabilia si stagliarono come statue immobili, uno di fronte all’altro, proprio all’ingresso della Galleria e costrinsero i visitatori a passare in mezzo ai loro corpi nudi.
Relation in Time, 1977, Studio G7 – Bologna
Relation in time si svolse presso la Galleria Studio G7 di Bologna il 10 Ottobre 1977. Marina e Ulay passarono diciassette ore in silenzio, seduti schiena contro schiena, uniti dal saldo intreccio dei loro capelli.
The Other: Rest Energy, 1980, FilmStudio – Amsterdam
L’elemento centrale di questa performance – una tra le più brevi realizzate dal duo di artisti – è la suspence. Marina Abramović, in un contenuto pubblicato dal MOMA, afferma a proposito: «In Rest Energy we actually hold one arrow on the weight of our body and arrow is pointing my heart. We have two small, little microphones on our hearts where we can hear the sounds of the heart beating. As our performance is progressing heart beats become more and more intense and it’s just four minutes and ten seconds, for me it was, I tell you it was forever. So, it was really a performance about complete and total trust».
The Lovers: The Great Wall Walk, 1988
I due artisti, dopo 12 anni di relazione, decisero di separarsi e di farlo con una performance straordinaria. Dopo numerosi tentativi e richieste riuscirono a ottenere i permessi dal governo cinese: partirono dalle due estremità della Grande Muraglia – Marina dall’estremità orientale, Ulay da quella occidentale – e si incontrarono nel mezzo di questo cammino, percorrendo migliaia di chilometri per salutarsi definitivamente e porre fine alla loro simbiotica relazione.
The Artist Is Present, 2010, MOMA – New York
Occhi negli occhi, cuore contro cuore. Nel 2010 Marina Abramović realizzò The Artist Is Present, una performance lunghissima in cui l’artista sedeva immobile ad un tavolo e incontrava gli sguardi dei visitatori che, a turno, occupavano la sedia vuota di fronte a lei. Durante i tre mesi al MOMA la Abramović riuscì a incontrare più di 1.000 sconosciuti, stabilendo infinite connessioni di sguardi e suscitando – in sé e negli altri – emozioni profonde e contrastanti. Ma l’emozione più grande fu, senza dubbio, la sorpresa di trovarsi di fronte Ulay, che non vedeva da anni.
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