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Rodolfo Siviero #2 | La reazione dello stato italiano alle mosse dei gerarchi nazisti


L’alleanza tra Hitler e Mussolini permise alla Germania di prendere a man bassa molte opere considerate simbolo della supremazia ariana.

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Il saccheggio del patrimonio artistico italiano cominciò nel 1937, quando il fascismo concesse all’attività collezionistica dei gerarchi tedeschi di  portare in Germania opere che non avrebbero mai potuto uscire dall’Italia secondo le leggi italiane vigenti in materia di beni culturali. Per la prima fase delle esportazioni la tecnica era sempre la stessa: sollecitare doni ed effettuare o simulare acquisti eludendo i normali controlli delle soprintendenze e fare impartire ordini tassativi dagli uffici di Mussolini o del Ministero degli Esteri, in nome  dell’amicizia che era stata stretta tra gerarchi nazisti e fascisti.

Ai furti di stato si aggiungevano quelli privati ad opera dei tedeschi, tra cui lo stesso Göring, che riuscivano a trasportare in Germania le opere che non avevano ottenuto il consenso del Consiglio Superiore delle Belle Arti tramite treni speciali diretti in Germania. Non meno importanti erano le figure degli antiquari italiani che si concedevano permessi di vendita o di esportazione di quadri e oggetti d’arte contro la legge.


filippo d'assia

Filippo d’Assia in una fotografia d’epoca

 

Göring non era l’unico tedesco che organizzava furti ai danni del governo italiano, ma era affiancato anche da un altro personaggio di spicco, a cui si deve la dipartita del celebre Discobolo di Mirone: il principe Filippo d’Assia, un nazista convinto che nel decennio dal 1933 al 1943 entrò nell’orbita di  Hitler e ne diventò il suo ambasciatore personale presso Mussolini. Il suo matrimonio con Mafalda di Savoia diventò inoltre un mezzo molto utile poiché usava liberamente la sua parentela con la casata Savoia per i suoi commerci con l’Italia.

La prima opera su cui mise le mani fu il Discobolo di Mirone, considerato l’oggetto del desiderio delle più alte gerarchie naziste poiché  veniva letto come l’archetipo ideale di un’utopica razza ariana. Nel 1937 Hitler espresse il desiderio di appropriarsi della scultura ma si scontrò subito con  l’esistenza di vincoli che ne impedivano il trasporto e con la risposta negativa espressa il 12 luglio 1937 dal Consiglio Superiore delle Scienze e delle Arti. Lo stesso Ministro per l’educazione Giuseppe Bottai ribadì  l’impossibilità del trasferimento in Germania del Discobolo. Questo divieto fu facilmente superato grazie all’intervento di Mussolini che tramite il  conte Galeazzo Ciano obbligò Bottai a firmare la liberatoria per ragioni amministrative il  18 maggio 1938 permettendo la partenza del “Lanciatore di Disco per ragioni  amministrative”. La chiusura delle trattative fu affidata a Filippo d’Assia, che comprò la scultura per cinque milioni di lire e la trasportò a Monaco di Baviera.

La partenza del Discobolo facilitò il lavoro della macchina di recupero tedesca che poté portare con sé  altre opere di inestimabile valore tra cui un Rubens e un Memling.


discobolo di mirone

Museo nazionale romano, sede di palazzo Massimo alle Terme, discobolo Lancellotti, copia romana del II secolo d.C. da originale greco dello scultore Mirone della metà del V secolo a.C. Marmo pario. Rinvenuto a Roma a Villa Palombara nel Settecento e nella collezione Lancellotti | Via Wiki

 

Il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai non vedeva positivamente quello che stava succedendo e non ne fece segreto, scontrandosi spesso con il governo italiano.  Tuttavia il dissenso tra Bottai e la Commissione di Hitler in Italia doveva essere risolto: il Führer quindi mandò in missione il principe d’Assia per proporre al governo italiano di organizzare il recupero delle opere d’arte asportate durante il periodo napoleonico e non restituite dalla Francia dopo il congresso di Vienna, in cambio  l’Italia avrebbe presentato una minore rigidità nell’applicazione delle leggi vigenti circa le richieste di esportazione di opere d’arte italiane in Germania. Il Ministro Bottai rifiutò la proposta nella maniera più categorica, considerandola  “illegale e lesiva per l’interesse del patrimonio artistico”.

Nel frattempo Göring approfittò della situazione di tensione che si era creata acquistando ed  esportando altri due capolavori dell’arte italiana di proprietà Contini Bonaccorsi a Firenze, la Leda e il cigno di Tintoretto e la Madonna dell’umiltà di Masolino da Panicale. Emanò una serie di circolari in cui avvisava la polizia e le varie soprintendenze in merito a queste sparizioni sospette, chiedendo loro di controllare le liste delle opere che lui stesso aveva stilato. Furono fatte indagini accurate sugli acquisti compiuti dalla missione tedesca, una di  queste mostrava che da Parigi via Berlino erano arrivati da Firenze nove importanti  dipinti impressionisti (Cezanne, Degas, Monet, Sisley, Renoir e Van Gogh) sequestrati alla famiglia Rotschild e ad altri ebrei francesi. Si scoprì poi che nel 1942 Göring aveva fatto  un viaggio a Firenze e aveva acquistato quattordici opere italiane della collezione personale dell’antiquario fiorentino Eugenio Ventura che erano poi state trasportate in  Germania con un treno speciale.


masolino da panicale

Masolino da Panicale, Madonna dell’umiltà, 1415, tempera su tavola, Galleria degli Uffizi

 

La situazione che si stava delineando in questi anni iniziò a essere nota anche al governo italiano che incaricò Pasquale Rotondi, su idea del Ministro Bottai e di Giulio Carlo Argan, di nascondere in segreto alcuni tesori fondamentali prima nella Rocca Sassocorvaro e poi nella rocca situata accanto al palazzo dei Principi Carpegna (Montefeltro). In questi depositi trovarono spazio oltre 10.000 opere tra cui capolavori di Raffaello, Giovanni Bellini, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Carpaccio,  Mantegna, Tiziano, Tintoretto e la Tempesta di Giorgione. Stessa sorte ebbe lo splendido altare di Mulscher conosciuto anche come l’altare di Vipiteno, commissionato nel 1456 dai cittadini di Vipiteno all’artista svevo Hans Multscher di Ulm.

Il mercante e curatore della collezione Göring, Walter Andreas Hofer, organizzò l’acquisto e l’esportazione di questo capolavoro, conservato sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Vipiteno. Il Ministro Bottai si oppose fermamente, Hofer si vide quindi costretto a ripiegare sull’ambasciatore italiano in terra tedesca, Dino Alfieri, che si dimostrò ricettivo poiché sperava di ottenere qualche successo politico. Alfieri scrisse subito al conte Ciano chiedendogli di accordare il permesso di trasportare l’altare chiesto da Göring, Ciano non perse tempo e “donò” subito le tavole al gerarca tedesco: le tavole furono consegnate a Berlino il 6 aprile 1943 e due giorni dopo il Ministero della Pubblica Istruzione iniziò le trattative per l’acquisto: il prezzo fu stabilito in 3.000.000 di lire che per la progressiva svalutazione divennero 9.000.000, di cui otto furono convertiti in titoli di stato inalienabili.

La situazione cominciò a peggiorare dall’8 settembre 1943, quando le SS si sparsero in tutta Italia e cercarono di rubare tutte le opere che potevano per portarle in suolo tedesco. Lo stato italiano cercò in tutti i modi di nascondere in maniera massiva le stesse opere in alcuni luoghi segreti, come i sotterranei del castello sforzesco a Milano e alcune ville nella zona di Firenze.

Durante questi anni però ci furono alcune figure che lavoravano nell’ombra, controllando e tracciando i movimenti dei tedeschi: tra loro c’era anche Rodolfo Siviero.


Leggi le altre puntate della serie dedicata a Rodolfo Siviero e ai furti delle opere d’arte qui

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