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Rodolfo Siviero #4 | 8 settembre 1943: una data cruciale per i piani tedeschi


Inizia la seconda fase di esportazione dei beni artistici; l’offensiva degli Alleati ha peggiorato i piani.

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La seconda fase di esportazione iniziò dopo l’8 settembre 1943. Prima di questa data i furti venivano presentati come doni o acquisti legali ma col passaggio ad una situazione di brutale occupazione da parte degli Alleati si passò a una rapina senza limiti: l’esempio più vistoso fu il tentativo di trasferire in Germania la maggior parte delle opere conservate Galleria degli Uffizi. Cruciale fu la creazione del Kunstschutz, un servizio della Wermacht nato dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, addetto alla salvaguardia delle opere d’arte italiane, denominato anche “Ufficio per la  protezione delle opere d’arte”.

Il portavoce di  questa organizzazione era l’archeologo Martin Schede, aiutato dal Ministro della  Cultura del Reich Bernhard Rust. Lo scopo ufficiale di quest’organizzazione era trasferire in luoghi sicuri quadri, statue e documenti antichi per sottrarli ai bombardamenti: in realtà era una copertura molto efficace per togliere le opere ai legittimi proprietari e deportarle al Nord. Il modo di operare era molto semplice: prendere tutto quello che si poteva dai musei italiani e portare tutto in Germania dichiarando che lo si voleva mettere al sicuro, usando qualsiasi deposito come le miniere di sale.


bernhard rust

Ritratto di Bernhard Rust | via Wiki

 

L’intelligence tedesca cominciò a creare una lista delle opere da trafugare e una rete di informatori e spie. Il primo punto del progetto consistette in un “grand tour” del conte Franz Wolff Metternich, che compì un viaggio della penisola e scrisse una relazione delle bellezze storico monumentali che aveva visto e apprezzato, creando così una lista di opere di altissimo  interesse. Il secondo punto consistette nel sopralluogo del barone Bernhard von Tieschowitz,  che disegnò la struttura interna del Kunstschutz e individuò i primi informatori su suolo italiano.

Per chiudere il progetto bastava decidere i vari ruoli che ogni membro dell’organizzazione avrebbe avuto e le ruberie potevano avere inizio. Il finale di questo progetto prese il nome di “Operazione Nerone”: era prevista la distruzione di tutto quel patrimonio artistico che i collaboratori del Führer non sarebbero riusciti a portare con sé, in modo tale che gli Alleati non entrassero in possesso di quelle opere. Ancora oggi interi patrimoni artistici risultano mancanti o non sono stati ancora restituiti ai legittimi proprietari, come nel caso dell’intera collezione di Göring.


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Adolf Hitler tiene un discorso alla Kroll Opera House. Nella seconda fila di ministri siede anche Bernhard Rust (1941) | via Wiki

Nel frattempo le soprintendenze italiane iniziarono a compiere i primi spostamenti di opere  d’arte verso depositi considerati sicuri, per sottrarle alle razzie tedesche,  tra queste ci furono anche le opere maggiori del museo di Capodimonte e dell’Archeologico di Napoli, ricoverate nell’abbazia di Montecassino, minacciate dai tedeschi.

Il 14 ottobre due ufficiali della divisione di Göring comunicarono all’abate Gregorio Diamare che le opere d’arte e il materiale ricoverato a Montecassino dovevano essere trasferiti a Roma e in Vaticano per ragioni di sicurezza, poiché l’abbazia era a rischio di distruzione. Nonostante le opposizioni dei monaci, il giorno successivo i tedeschi tornarono con una notifica di sgombero anche per le persone poiché  l’abbazia avrebbe fatto parte della linea della resistenza, dato l’aggravarsi della guerra.

I tedeschi quindi caricarono gli autocarri con le opere contenute nell’abbazia e allontanarono anche i religiosi benedettini, che furbamente riuscirono a nascondere tra i loro oggetti personali alcuni codici miniati. Il 17 ottobre il primo convoglio contenente l’archivio e la biblioteca dell’abbazia partì alla volta di Roma, il secondo convoglio formato da due autocarri contenenti la biblioteca privata del monastero partì il 19 ottobre insieme a padre Tommaso Leccisotti, incaricato di avvertire  le autorità della chiesa e dello stato circa quello che stava accadendo. L’ultimo convoglio partì il 3 novembre. Gli unici ad arrivare a Roma furono i monaci coi loro preziosi bagagli poiché gli autocarri si  diressero al Nord, verso il confine tedesco. Con l’arrivo a Roma di padre Tommaso e le  informazioni da lui consegnate iniziarono immediatamente le ricerche degli autocarri  tedeschi.

La risposta tedesca arrivò il 6  novembre: l’ambasciata di Germania comunicò alla segreteria di stato che gli archivi di  Montecassino e le opere d’arte dei musei napoletani si trovavano a Spoleto e che gli archivi  sarebbero stati consegnati all’abbazia di San Paolo in Roma secondo il desiderio espresso  dal Vaticano. L’8 dicembre l’archivio e la biblioteca di Montecassino furono condotti a Castel Sant’Angelo mediante una solenne cerimonia di affidamento delle opere al governo italiano, ma solo il 5 gennaio 1944 ci fu la consegna ufficiale in Piazza Venezia.

Il giorno precedente le soprintendenze italiane si erano accorte che il carico arrivato da Montecassino non era completo ma mancavano alcune casse: era la parte del carico che sarebbe stata inviata a Berlino per compiacere le brame del Führer, tutto questo rigorosamente all’oscuro delle autorità italiane. Le opere arrivarono sulle rive della Sprea e la Danae di Tiziano fu offerta al  maresciallo Göring come regalo per il suo compleanno il 12 gennaio 1944.

La stessa sorte fu garantita ad altre città e regioni italiane tra cui Firenze, che si vide trafugare 189 quadri, 9 sculture e 37 casse di documenti, l’Emilia e il Veneto. Tutti i musei furono depredati dalle loro opere: alla fine tra il  15 luglio e il 6 settembre 1944 la 362° armata tedesca aveva trasferito in Germania 32 autocarri per un totale di circa 2000 opere pubbliche e private.


tiziano vecellio

Tiziano Vecellio, Danae, 1545

 

Dopo l’8 settembre del 1943 la cellula partigiana da lui creata diventò la Sezione per la difesa  del patrimonio artistico e culturale e venne integrata all’attività del Fine Arts and Monuments della commissione alleata, Siviero era anche stato incaricato dal Ministero della Guerra di tenere i rapporti con la Subcommission alleata. Fin dalla liberazione di Roma e Firenze Siviero cooperò con Reginald Stanhope Wright, ufficiale gentiluomo del Comando Alleato, legato all’ufficio per la salvaguardia dei monumenti, per la riorganizzazione sistematica dei ritrovamenti e dei servizi nel territorio ancora in mano ai tedeschi e per la protezione da garantire ai depositi di capolavori rimasti nei territori occupati dai tedeschi.

I primi grandi successi nella lotta al saccheggio dei tesori italiani arrivarono con le segnalazioni dei convogli che trasportavano le opere d’arte verso nord e i continui  aggiornamenti sui luoghi dove erano state nascoste. Queste preziose informazioni permisero alla Sezione di Siviero di bloccare e poi recuperare buona parte delle collezioni dei musei  fiorentini, napoletani e veneziani e di riportarle in Italia.

Il ruolo di spicco di Siviero in questi anni lo portò a rischiare spesso in prima persona. il caso più famoso, e che lui stesso raccontò nel suo diario fu quello risalente al marzo 1944, quando fu catturato e accusato di aver organizzato il mancato attentato al maggiore Carità, convinto fascista addetto alla trafugamenti della comunità israelitica  fiorentina. Fu condotto nel palazzo di via Bolognese, poi definito Villa Triste, quartier generale del maggiore Carità e dei suoi uomini, e restò fino al giugno dello stesso anno finché riuscì a scappare.

Il racconto rimane oscuro poiché è molto difficile uscire vivi da Villa Triste, e non ci sono dati che confermano o smentiscono la versione di Rodolfo. La descrizione che lui stesso diede della Villa era raccapricciante.

Si trattava di un palazzo a due piani, al piano terra si trovavano le SS italiane mentre ai piani nobili erano alloggiate le SS tedesche, l’edificio prevedeva anche uno spazio seminterrato  dove erano rinchiusi i prigionieri. Siviero racconta l’interrogatorio subito durante la prigionia e il modo in cui era riuscito a scappare:

una sera mentre stavo rannicchiato su una panca dopo mezzanotte mi destò il tenente Martucci: «Svegliatevi Siviero! Un partigiano ha parlato e il comandante vuole interrogarvi  personalmente». Seguii il tenente delle SS. Nel soggiorno dell’appartamento si sentivano gli interrogatori e si intravvedevano i prigionieri. Entrai nella stanza, Carità era vestito come una baiadera, con i mutandoni da paracadutista, e mi puntava gli occhi freddi come due artigli. Era l’unico di aspetto  ariano della masnada. Dietro la scrivania lucida di mogano con due pistole davanti dove avrebbe dovuto tenere la carta  da scrivere parlava di patria. La sua volontà era di avere altri nomi per fucilarci insieme, la mia  volontà quella di uscire dalla lista. L’interrogatorio fu duro. Carità si alzava spesso per venirmi addosso, poi si frenava, mi guardava con disprezzo e concludeva «Povera patria». Fermava i suoi occhi ghiacci e rabbiosi contro il mio sguardo, in lui c’era certamente il dubbio su chi di noi due fosse la patria. Nell’atmosfera shakespeariana sotto la luce elettrica intensa coglievo il suo pensiero e glielo  trasportavo verso idee più confuse. Con lo sguardo mi difendevo dalle botte e sorretto da un filo  di fiato uscivo infine dalla stanza. Ormai era giorno, dall’anticamera giungevano le urla dei prigionieri, poi spuntò il sole e la casa  sembrò addormentarsi.  Arrivarono le donne delle pulizie, Marisa e Luciana, che avevamo fatto arruolare presso le SS, ed  ebbi il rapporto della situazione. Il colonnello Odello e l’ufficiale inglese di collegamento trovarono il modo di liberarmi. Furono arruolati nelle SS di Carità due partigiani e la sera del 14 giugno verso buio, uscii da villa Triste nella strada deserta. La sera fui ospite del dottor Mario Galinaro in via degli Alfani, qui ebbi la prima riunione con Galloni e Odello”.

Fortunatamente fu un episodio che si concluse in maniera positiva per il nostro 007, tanto che verso gli ultimi anni della guerra decise di dare una svolta alla sua posizione per collaborare attivamente con gli alleati e lottare contro il trafugamento delle opere d’arte: nel 1945 diventò coordinatore di un nucleo clandestino che seguiva segretamente le tracce delle opere d’arte esportate dai tedeschi operante a Firenze.


rodolfo siviero

Rodolfo Siviero con un dipinto di Pontormo | Wiki

 

Iniziò a collaborare con un manipolo di uomini per prevenire e vanificare razzie, furti, manomissioni di opere da parte delle forze armate tedesche e contrastare le  direttive di Mussolini rivolte agli uffici statali di tutela del patrimonio artistico, grazie soprattutto alla conoscenza dei nascondigli  nei quali i tedeschi portavano le opere d’arte trafugate. Torniamo ora alla data cruciale dell’8 settembre 1943 per vedere come reagiranno i tedeschi alle prime offensive di Siviero.

Il servizio di Siviero tuttavia continuava a raccogliere informazioni sul percorso dei carichi  tedeschi, così da poter recuperare le opere appena si sarebbe presentata l’occasione. Grazie a questa linea di informatori a guerra finita buona parte delle opere trafugate riuscirà a tornare ai legittimi proprietari.


Leggi le altre puntate della serie dedicata a Rodolfo Siviero e ai furti delle opere d’arte qui

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